Un attacco di panico è un episodio in cui un soggetto esperisce un’intensa paura, accompagnata da sensazioni corporee e mentali spiacevoli, difficoltà di ragionamento e un senso di catastrofe imminente. La paura di morire, di perdere conoscenza, di comportarsi in modo strano e/o urlare, di perdere il controllo o di impazzire sono comuni nei soggetti cui viene diagnosticato il disturbo attacco di panico (DAP).
Quando può verificarsi un attacco di panico
Il Disturbo di Panico è una patologia molto discussa e comune, che abbiamo già affrontato in modo approfondito in un articolo del maggio scorso. Viene diagnosticato con una frequenza doppia nelle donne rispetto agli uomini (Apa, 2013) ma i sintomi sono simili nei due sessi.
Il primo attacco di panico si verifica tra l’adolescenza ed i 30/35 anni, spesso in coincidenza con un periodo di forte stress o di situazioni quali: a) instabilità della famiglia originaria che determina insicurezza sotto forma di sensazione di non essere in grado di affrontare i pericoli della vita; b) eventi incentrati sulla separazione come il divorzio, l’allontanamento dalla famiglia per ragioni di lavoro o altro; c) fattori stressanti esterni: malattia o morte di una persona cara, una malattia, problemi relazionali, problemi finanziari, perdita o pressioni sul lavoro, eventi imprevedibili, ecc.; d) fattori stressanti interni cioè il nostro modo di pensare, di gestire un problema, ecc.; e) familiarità: studi dimostrano che se l’età di esordio del disturbo di panico è inferiore ai 20 anni, i parenti di primo grado hanno una probabilità venti volte maggiore di sviluppare lo stesso disturbo.
Come può manifestarsi un attacco di panico
Intensità e frequenza dell’attacco di panico sono variabili. Ad esempio possono avere luogo una volta a settimana manifestandosi regolarmente per mesi, o possono essere più brevi ma comparire tutti i giorni; ancora, possono trascorrere lunghi periodi senza attacchi o con episodi meno frequenti. Le crisi di panico improvvise durano tendenzialmente tra i 10 ed i 20 minuti dove l’individuo prova angoscia e, subito dopo, può provare debolezza rimanendo in uno stato di ansia.
Spesso, al verificarsi del secondo episodio, il soggetto inizia a temere che si verificheranno altri episodi divenendo ansioso e apprensivo e sviluppando un modello di comportamento evitante. Il soggetto tende ad evitare le situazioni in cui potrebbe presentarsi un attacco ed in cui è difficile attuare una fuga. Ogni nuovo episodio di panico incrementa la lista di un altro ambiente pericoloso e, in casi estremi, la persona finisce con il chiudersi in casa.
La persona può esperire stati di ansia anticipatoria che, come è noto, facilita l’insorgenza del panico. I soggetti che hanno crisi di panico sono bisognosi di una presenza rassicurante, di una persona fidata che intervenga qualora ne avessero bisogno. Va evidenziata l’importanza dei fattori relazionali sul mantenimento del disturbo: la coppia di un paziente con disturbo di panico si riduce talvolta a una relazione in cui il disturbo dell’uno è strumentale alla necessità di controllo e di vicinanza dell’altro.
Come trattare un attacco di panico
I protocolli di trattamento psicoterapico per il disturbo di attacchi di panico sottolineano l’importanza di una ristrutturazione delle credenze e valutazioni del problema; si interviene quindi anche con una buona psicoeducazione. Fra le opzioni, la terapia cognitivo comportamentale utilizza tecniche che possono essere impiegate durante il trattamento: l’esposizione enterocettiva, l’esposizione in vivo, l’utilizzo della flash card e la tecnica del rilassamento muscolare progressivo di Jacobson.
Durante il seminario che si terrà il 12 Gennaio 2019 presso il Centro Psicologia Monterotondo, avremo modo di parlare insieme dell’ansia e degli attacchi di panico ma soprattutto avremo modo, insieme, di sperimentare una prima seduta della tecnica del Rilassamento Muscolare Progressivo. Consideriamo come punto di partenza il fatto che il corpo sia entrato a far parte della pratica della psicoterapia. Ciò indica che il nostro corpo è fonte inesauribile di microscopici segnali che, se ascoltati e accolti, possono divenire un potenziale considerevole per la conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti e dei nostri punti di forza.
Soma e psiche seguono il principio dei vasi comunicanti, dunque le conseguenze di una scorretta interpretazione delle emozioni e delle sensazioni si riversa sul nostro fisico. Quando la nostra intimità è, per così dire, bloccata, i nostri muscoli diventano tesi, contratti e la respirazione è superficiale e ridotta al minimo. Naturalmente questa situazione di blocco è tendenzialmente inconsapevole. Attraverso un lavoro di decontrazione dei muscoli e della respirazione, segnali, emozioni e sensazioni passano ad un livello di consapevolezza, divenendo così più ricettivi nei confronti di noi stessi.
Rilassamento Muscolare Progressivo: una presentazione gratuita sabato 12 gennaio presso il Centro Psicologia Monterotondo
Il rilassamento muscolare progressivo è una tecnica di rilassamento attivo basata sull’alternanza contrazione/distensione dei muscoli. L’origine è da rintracciarsi cinquanta anni fa, quando Jacobson ha pubblicato la prima edizione degli studi relativi alla tecnica di rilassamento. Il training è uno dei metodi più semplici ed efficaci per contrastare la condizione di stress e promuovere la propria salute psicofisica. Si basa sul presupposto che i processi mentali e le emozioni siano associati a manifestazioni neuromuscolari che alterano il normale tono di riposo.
Ogni pensiero, ogni percezione, ogni emozione si correla ad una modificazione del tono muscolare, coinvolgendo globalmente tutto il sistema nervoso, endocrino e muscolare. Attraverso il training di rilassamento muscolare possiamo imparare quali sono le tensioni presenti nel nostro corpo e che si riflettono nella nostra mente. Le fasi del training di rilassamento muscolare possono essere così elencate:
1) allenamento a percepire la tensione muscolare attraverso esercizi di contrazione e decontrazione;
2) addestramento a riconoscere quando i muscoli non sono completamente contratti o completamente distesi;
3) fare esperienza circa la condizione di mente passiva.
Due sono le finalità del training di rilassamento:
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indurre delle modificazioni sul sistema neurovegetativo attraverso esercizi di contrazione-decontrazione muscolare. Questo processo è sostenuto dalla tesi che la distensione muscolare induce quella mentale. L’esperienza di mostra che la distensione della muscolatura apporta una sensazione di calma. Quando si raggiunge lo stato di rilassamento si verificano effetti positivi anche a livello cardiorespiratorio. Di conseguenza la concentrazione di adrenalina nel sangue si abbassa e si produce uno stato di calma;
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altro obiettivo che si pone il training è quello della generalizzazione, ovvero l’autocontrollo e la gestione delle proprie tensioni in condizioni di vita quotidiana. Una volta appresi gli esercizi in un setting terapeutico, la persona è competente nel proporlo in qualsiasi circostanza. Questo avviene nel tempo, quando la persona diviene consapevole dei suoi stati. La generalizzazione non avviene per suggestione ma per impegno diretto del paziente.