Cos’è un attacco di panico.
Il Disturbo da attacco di Panico è uno dei disturbi più comuni ed è una delle patologie su cui si è più discusso negli ultimi anni. Si tratta di un disturbo che può comportare anche gravi disagi personali, lavorativi e sociali e ha una rilevante diffusione e l’età di esordio del disturbo di panico si colloca tra l’adolescenza ed i 30/35 anni. Nonostante le manifestazioni cliniche del disturbo siano simili nei due sessi, le donne hanno una maggiore probabilità di sviluppare il disturbo rispetto agli uomini, infatti viene diagnosticato con una frequenza doppia nelle donne (Apa, 2013).
Inoltre, sono frequenti le ripercussioni negative sulla qualità della vita, quali abuso di alcool, droghe o farmaci, e problemi economici, familiari e relazionali. Il primo attacco di panico si può verificare per diverse ragioni, ma possiamo vedere dalla storia dei pazienti che molto spesso coincide con un periodo di tensione o di stress elevati.
I fattori di rischio.
Sono considerati fattori di rischio:
- eventi stressanti incentrati sulla separazione (per es. lasciare la casa dei genitori per andare a vivere da soli, lasciare la famiglia per lunghi periodi per ragioni di lavoro o altro, divorziare);
- instabilità della famiglia originaria che determina insicurezza sotto forma di sensazione di non essere equipaggiati per affrontare adeguatamente i pericoli della vita;
- familiarità: molti studi dimostrano che se l’età di esordio del disturbo di panico è inferiore ai 20 anni, i parenti di primo grado hanno una probabilità venti volte maggiore di sviluppare lo stesso disturbo;
- fattori stressanti esterni quali la malattia o la morte di una persona cara, la presenza di malattie in famiglia, la propria malattia, problemi relazionali con il coniuge o i parenti, problemi finanziari, perdita o pressioni sul lavoro, eventi incontrollabili e/o imprevedibili, ecc.;
- fattori stressanti interni che sono rappresentati dal modo in cui siamo abituati ad affrontare un problema, dal nostro modo di pensare.
La sintomatologia.
Il DSM-V definisce tale disturbo come segue:
“Un attacco di panico consiste nella comparsa improvvisa di paura o disagio intensi che raggiunge il picco in pochi minuti, periodo durante il quale si verificano quattro o più dei seguenti sintomi:
- Palpitazioni, tachicardia;
- Sudorazione;
- Tremori fini o grandi scosse;
- Dispnea o sensazioni di soffocamento;
- dolore o fastidio al petto;
- Nausea o dolori addominali;
- Parestesie;
- Brividi o vampate;
- Paura di impazzire o morire;
- Sensazione di vertigine o instabilità;
- Derealizzazione o depersonalizzazione.
La maggior parte degli individui ha episodi di panico occasionali in cui la causa della paura è evidente, ad esempio la minaccia di un incidente stradale. Anche le crisi di panico prevedibili sono angosciose, mentre quelle inaspettate possono essere particolarmente sconcertanti e preoccupanti. La frequenza e l’intensità degli attacchi di panico sono mutevoli; posso essere moderatamente frequenti, ad esempio verificarsi una a settimana manifestandosi regolarmente per mesi, posso essere più brevi ma più frequenti e comparire tutti i giorni, ancora, possono trascorrere periodi senza attacchi o con episodi meno frequenti.
Le crisi di panico improvvise durano tendenzialmente tra i 10 ed i 20 minuti dove l’individuo prova angoscia e, subito dopo, può provare debolezza rimanendo in uno stato di ansia. Il soggetto percepisce questo lasso di tempo come interminabile, dove i normali processi di ragionamento sono compromessi. Il panico è un episodio in cui il soggetto esperisce un’intensa paura che è accompagnata da sensazioni corporee e mentali spiacevoli, difficoltà di ragionamento (es: “la mia mente si svuota”) e una sensazione di catastrofe imminente e improvvisa (es: segno di morte o di pazzia). Ad esempio, il soggetto può avere un attacco se interpreta la confusione mentale come il segnale di un impazzimento o qualche secondo di tachicardia come il segno di un infarto in corso. Generalmente la paura di morire, di perdere conoscenza, di comportarsi in modo strano e/o urlare, di perdere il controllo o di impazzire sono piuttosto comuni nei soggetti a cui viene diagnosticata un DAP.
Comportamenti conseguenti.
Solitamente, nel momento in cui si verifica un secondo episodio, il soggetto inizia a temere che si verificheranno altri episodi divenendo ansioso e apprensivo e sviluppando un modello di comportamento evitante. In questo caso il soggetto potrebbe cominciare a temere il panico stesso e iniziare ad avere “paura della paura”. Infatti, ripetuti attacchi di panico possono portare ad una limitata mobilità in cui, il soggetto, tende ad evitare le situazioni in cui potrebbe presentarsi un attacco ed in cui è difficile attuare una fuga. Di conseguenza, pianificano un itinerario, il momento in cui farlo e le varie possibilità di fuga.
In casi gravi, la lista dei luoghi da evitare si allunga progressivamente; ogni nuovo episodio di panico incrementa la lista di un altro ambiente pericoloso e, in casi estremi, la persona finisce con il recludersi in casa. I soggetti che hanno crisi di panico sono bisognosi di una presenza rassicurante, di una persona fidata che può intervenire qualora ne avessero bisogno. Durante la crisi il soggetto si sente come in trappola e il suo pensiero principale è quello di scappare, e ciò può portare l’individuo a mettere in atto un comportamento rischioso, come guidare ad alta velocità o uscire da un edificio precipitosamente.
Un altro possibile effetto è la permanenza in un sistematico stato di allerta, dove l’attenzione, l’immaginazione, la memoria e la memorizzazione avranno caratteristiche di selettività per sensazioni ed informazioni attinenti la possibilità di perdere il controllo e dunque vi sarà una maggiore disponibilità di informazioni di pericolo. Tale stato di allarme favorirà inoltre la comparsa dell’ansia anticipatoria che, come è noto, facilita l’insorgenza del panico.
Il trattamento.
Per quanto riguarda l’effetto dell’ansia sul comportamento, è molto frequente che si vada a strutturare tutta una serie di comportamenti protettivi e di ricerca di sicurezza. Tali comportamenti potrebbero prevenire esperienze disconfermanti la pericolosità della minaccia immaginata e che talvolta contribuiscono a peggiorare i sintomi temuti rendendo più probabile l’attacco; nel caso del ricorso all’iperventilazione, ad esempio, può aumentare la sensazione di soffocamento. E’ da sottolineare l’importanza dei fattori relazionali sul mantenimento del disturbo: la coppia di un paziente con disturbo di panico si riduce talvolta ad una relazione di tipo diadico in cui il disturbo dell’uno è strumentale alla necessità di controllo e di vicinanza dell’altro partner.
Esistono dei protocolli di trattamento psicoterapico per il disturbo di attacchi di panico i quali sottolineano tutti l’importanza di una corretta ristrutturazione delle credenze e valutazioni del problema; si interviene quindi anche con una buona psicoeducazione. Fra le opzioni, la terapia cognitivo comportamentale utilizza tecniche che possono essere impiegate durante il trattamento: l’esposizione enterocettiva, l’esposizione in vivo, l’utilizzo della flash card e la tecnica del rilassamento muscolare progressivo di Jacobson.