Accendete i motori: … ADOLESCENZA in arrivo!!

AdolescenzaMamma e papà, siete pronti??? …accendete i motori: l’adolescenza è arrivata!!!

Se leggessimo sul dizionario il significato di “adolescenza” troveremmo: “Fase della crescita dell’essere umano collocabile tra i 12-14 e i 18-20 anni, caratterizzata da una serie di modificazioni fisiche e psicologiche che introducono all’età adulta”.

A quanti genitori tale definizione piace e, soprattutto, chiarisce effettivamente cosa sta “accadendo” al proprio figlio, come ci si deve relazionare, cosa ci si deve aspettare, come possono intervenire?

Adolescenza e cambiamenti

La vita sui testi, spesso, è altro rispetto alla quotidianità che fluisce all’interno delle quattro mura. Qui sguardi, parole, gesti, comportamenti e atteggiamenti costruiscono, dal primo momento, quella fitta relazione che in qualche modo legherà per sempre gli appartenenti al nucleo familiare.

Quando un bimbo arriva in famiglia, mamma e papà investono energie, tempo e spazi. La coppia diventa improvvisamente “coppia genitoriale e la storia familiare si arricchisce della presenza di una terza generazione. Si innesca un’evoluzione personale e si crea un momento particolare della vita di coppia. Il bambino cresce, racconta, descrive, riporta eventi e rende partecipi anche dei più piccoli dettagli i genitori disponibili.

Ma poi, eccoci, arrivano i 12/13 anni, mamma e papà assistono all’inesorabile trasformazione del loro figlio sia da un punto di vista fisico che psicologico. Cambia il peso, la corporatura, l’altezza e il timbro di voce. Il corpo è sconvolto da una vera e propria tempesta ormonale, e si raggiunge la fertilità. I ragazzi devono fare i conti con i “brufoli”, i tratti somatici si modificano. Iniziano ad accennarsi i caratteri sessuali secondari: crescita di peli e barba nell’uomo, mentre nella donna i fianchi si allargano e si sviluppa il seno. Maturano anche gli organi sessuali esterni ed interni, nelle ragazze vi è una “scoperta” importante ovvero il menarca. A livello sociale si accentuano le modificazioni di genere tra sesso maschile e femminile.

Distanza e contrasti

Tutto è sottoposto a una grande rivoluzione: il cervello, il corpo, le sensazioni, le idee e curiosità. Questi enormi cambiamenti si sono verificati anche in altri momenti della vita: quando si è appena nati e attorno ai cinque-sei anni. Il cervello si ristruttura, “si cambia carattere” e si acquisiscono nuove capacità: potere decisionale, capacità di pianificare, motivazione all’agire, nuovi valori e nuove capacità di relazionarsi con le altre persone.

Ed ecco il divario che piano piano si fa largo tra mamma, papà e Adolescente. Diari segreti, messaggi cancellati, telefonini criptati da password “segrete”, cronologie internet eliminate, conversazioni whatsapp che sarebbero in grado in mandare in tilt i più sofisticati pc della Nasa. Una dura lotta per contrattare le ore in cui si può utilizzare la play, xbox, il cellulare, in cui si può rientrare a casa o con chi si può o non può uscire. Si negozia su tutto, i genitori più creativi inventano escamotage per nascondere la pass del wifi, o per far finire i compiti o chissà per quale altro sano motivo.

Se durante l’infanzia si bramava un momento di silenzio in casa, magari dopo una lunga giornata di lavoro, in questa fase si rimpiange quando il proprio figlio raccontava a cascata fatti ed eventi verificatesi. I dialoghi sono sempre più rari e soprattutto ridotti a pochi monosillabi che l’adolescente “regala” ai genitori i quali provano sempre più emozioni forti e assolutamente contrastanti. Paura, gioia, smarrimento, rabbia e chissà quale altra emozione attanaglia il genitore consapevole di un ribelle!

La parola ai genitori!

Ma per non rimanere fermi nella retorica che possiamo rintracciare in numerosissime pagine stampate, noi psicologi del Centro Psicologia Monterotondo abbiamo coinvolto la mamma di un ragazzo che si affaccia ora alla fase tanta temuta. Riportiamo fedelmente quanto ci ha confidato:

“L’adolescenza di un figlio, per un genitore, è paragonabile all’attraversamento quotidiano di un “campo minato” dove, se disgraziatamente metti un piede in fallo…..scoppia la bomba! E tale bomba può “deflagrare” anche più volte al giorno con effetti devastanti sull’equilibrio psichico dei poveri genitori! Quella che prima era una “passeggiata tranquilla” si trasforma, in questa fase, in un campo di battaglia. Il motivo del contendere può essere semplicemente…..ogni cosa! Faccio degli esempi “amore, per favore, mi prendi lo zucchero?” risposta del figlio adolescente “e perché proprio io? Non può prenderlo mia sorella? Puoi prendertelo da sola? Non puoi fare senza?” tutto questo ovviamente mentre è sdraiato sul divano la 12° ora di musica dal cellulare!

Altro esempio:”tesoro cosa hai fatto a scuola?” risposta dell’adolescente “niente, lo sai che non si fa niente. E poi lo sai che la prof ……..”. ogni occasione è buona, anzi ottima, per protestare, lagnarsi, polemizzare, indignarsi. Ecco… la sintesi dell’adolescenza secondo me è “polemica a priori!”. Se lo ignori non va bene perché dice “a mà! Non mi ascolti, poi non dire che non ti parlo”, se lo solleciti “a mà, mi stressi”, se cerchi di dare un suggerimento “a mà, la vita è la mia devo fare io!”, se lo coccoli “a mà, scollate!”, se non lo coccoli “non mi vuoi più bene”. L’adolescenza dei figli è, in sintesi, la tensione continua e costante a mettere in crisi i genitori e le loro poche certezze. E chi, come me, qualche anno fa vedendo gli altri figli in “opposizione da adolescenza” ha pensato che a lei/lui non potesse accadere …. Ah ah ah ah…..succederà, succederà! Abbiate fede, succederà!!!”

Per saperne di più

La mamma che gentilmente si è prestata alle nostre domande, delinea un quadro esaustivo, veritiero e quanto mai ricco di ciò che accade in una famiglia quando un teenager conduce il primo vagone del trenino sulle montagne russe. Cellulari, sbalzi d’umore, rabbia, voglia di indipendenza, voglia di rimanere piccolo, confusione e chi più ne ha più ne metta!

Con questo spunto congiunto ad una riflessione che da tempo abbiamo fatto in equipe, il Centro Psicologia Monterotondo invita, a un evento dedicato all’adolescenza, tutti coloro che vogliono condividere, sbirciare da vicino, saperne di più, provare sulla propria pelle il colorato, vorticoso, esaltante mondo dell’adolescente che corre a perdifiato verso l’età adulta. Il seminario del 13 Aprile 2019 sarà condotto da due psicologi psicoterapeuti e dalla psichiatra del Centro Psicologia Monterotondo e si articolerà in più momenti che avranno come filo conduttore l’universo adolescenziale, le dipendenze dai video giochi e alcuni delle maggiori patologie.

Fuori dall’armadio: Affettività, identità, omofobia

Lgbt e oltre

Orientarsi nel mondo LGBTQI+ non è affatto semplice. Lo stesso acronimo lo rende evidente, poiché include nella stessa comunità le persone lesbiche, bisessuali, gay, transessuali, intersessualità, “queer”. E’ usato per indicare tutti coloro che non si sentono rappresentati dall’orientamento sessuale eterosessuale.

LGBT

Come si è arrivati dalla contrapposizione classica tra eterosessualità e omosessualità alla moltitudine di dimensioni affettive e sessuali che la letteratura psicologica oggi riconosce negli esseri umani? Per capirlo sembra utile partire da una ironica e provocatoria affermazione di Alfred Kinsey.

Nel trattato “Sexual Behavior in the Human Male” (1948), riportando i dati della più vasta indagine mai svolta sul comportamento sessuale degli esseri umani, Kinsey affermava che

Questo mondo non dovrebbe essere diviso tra pecore e capre. E’ un principio fondamentale della tassonomia il fatto che la natura raramente ha a che fare con categorie separate […]. Il mondo vivente è un continuum in ognuno dei suoi vari aspetti”.

Un nuovo sguardo sull’omosessualità

A partire dalle ricerche di Kinsey e di Evelyn Hooker, la letteratura scientifica ha iniziato quel lento percorso di revisione scientifica e clinica dell’omosessualità, che si è mosso in due direzioni fondamentali:

  1. riconoscere che l’omosessualità è sia normale sia diffusa;

  2. riconoscere che l’omosessualità è solo una delle infinite varianti naturali del comportamento sessuale umano.

In queste linee, nel 1972 L’American Psychological Association cancella l’omosessualità dalle patologie psichiatriche. A partire dal 1974, la voce omosessualità” viene eliminata dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM). LOrganizzazione Mondiale della Sanità descrive lomosessualità come una variante naturale del comportamento sessuale umano. Afferma inoltre che nessuna terapia può essere messa in atto per modificare lorientamento sessuale.

Per capire di più: sesso biologico, identità di genere, stereotipi di genere, orientamento sessuale

Iniziamo a precisare che il sesso biologico può essere definito come l’appartenenza su base genetica al genere maschile o al genere femminile. Il sesso biologico, definito dal corredo cromosomico, già nello sviluppo fetale determina lo sviluppo di organi sessuali primari coerenti con il patrimonio genetico. Nel momento della pubertà e dell’adolescenza, lo stesso corredo cromosomi indurrà lo sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie.

In realtà, esistono in natura varianti intersessuali, cioè con corredo cromosomico appartenente ad entrambi i sessi biologici. Alla nascita si manifestano organi sessuali di entrambi i sessi, senza informazioni sul tipo di carattere sessuale secondario che si svilupperà primariamente nell’adolescenza.

Lidentità di genere riguarda il modo in cui Io penso il mio sesso biologico, ovvero se mi penso un essere umano maschile o femminile. Questa percezione di sé, estremamente precoce, prescinde dal sesso biologico, anzi può essere in contrasto con il sesso biologico. In tal caso, ci troviamo di fronte ad una “disforia di genere”. E’ la percezione che il proprio corpo non corrisponda alla propria identità di genere e che pertanto sia necessario un “allineamento” per riconoscersi finalmente nel corpo “giusto”.

Lo stereotipo di genere o aspettativa di genere indica invece il comportamento che la società si aspetta da un essere umano sulla base del suo essere maschile o femminile. Si tratta di un ambito di prescrizioni molto vasto, fortemente determinato dalla cultura di riferimento. Lo stereotipo può portare a individuare uomini “effeminati” o donne che si comportano da “maschiacci”.

Infine, l’orientamento sessuale indica la predisposizione a provare un’attrazione affettiva ed erotica verso una persona del sesso opposto al proprio (eterosessualità) o dello stesso sesso (omosessualità) o entrambi (bisessualità).

Tutte queste variabili sono presenti contemporaneamente nello stesso individuo, ma possono modificarsi nel corso della vita. Diventa dunque chiaro che la complessità del mondo LGBT sta in questo suo potersi declinare in modi assolutamente vari e complessi.

E il pregiudizio eterosessista?

Vista la complessità del comportamento affettivo, relazionale e sessuale umano, diventa chiaro che l’eterosessualità sia solo una delle molteplici sfaccettature con cui un individuo può esprimere, in un dato momento, la propria predisposizione affettiva, relazionale e sessuale.

Anzi, il pregiudizio eterosessista è quella struttura sociale dominante per cui un qualunque individuo si considera eterosessuale a meno che non dica il contrario. Questo pregiudizio è fortemente sostenuto dalle campagne pubblicitarie che veicolano le aspettative di genere e dalle convinzioni comuni operanti a livello sociale. Una persona LGBT viene così sottoposta a uno stress, il cosiddetto Minority Stress o “stress di minoranza” (Lingiardi).

Una persona LGBT, per effetto del pregiudizio eterosessista, sarà portata a pensarsi inizialmente come eterosessuale. Quando avrà una maggiore consapevolezza della sua identità di genere o del suo orientamento sessuale percepirà la propria “devianza della norma”, che solitamente si manifesta in ansia, vissuti depressivi, senso di colpa, senso di inadeguatezza, vissuti di vergogna e disistima profondi.

Uscire fuori dall’armadio

Da questa discrepanza inizia per una persona LGBT il lungo processo di autoconsapevolezza chiamato comunemente Coming Out, dall’espressione coming out of the closet, ovvero uscir fuori dall’armadio.

Nel corso degli anni, la letteratura psicologica ha elaborato tanti modelli teorici che spiegassero le diverse fasi del coming out. In generale tutti i modelli sul Coming Out concordano nel ritenerlo un processo che ha inizio dall’accettazione di sé e si allarga alla condivisione della propria identità con familiari e amici. E’ un processo che dura tutta una vita e si muove lungo le tre direttrici fondamentali della autoconsapevolezza, della costruzione della propria identità e della condivisione della stessa identità.

E’ in ultima analisi anche un percorso in cui si può uscire dall’isolamento e costruire la propria identità sulla base dell’appartenenza alla comunità LGBT nelle sue mille sfaccettature.

Una psicoterapia per persone LGBT e uno sportello LGBT

Questo breve sguardo che abbiamo gettato insieme sul mondo LGBT ha messo in risalto una realtà talmente tanto complessa e delicata che ha convinto – e ci ha convinto – della necessità di terapeuti specializzati nelle tematiche LGBT, che sappiano sostenere il percorso del coming out e le persone LGBT nella difficile lotta all’omofobia.

Presso il Centro Psicologia Monterotondo si può pertanto portare avanti un percorso terapeutico specifico che aiuti a :

  • superare l’ansia e la vergogna;

  • elaborare la propria identità;

  • portare avanti il proprio coming out;

  • affrontare questioni legate all’omofobia, interiorizzata o sociale.

Per questi motivi, abbiamo inoltre pensato di proporre uno sportello permanente di consulenza gratuita, che può essere effettuata anche in forma anonima. La consulenza sarà rivolta soprattutto ai giovani e giovanissimi che precocemente si confrontano con dubbi continui sulla propria sessualità e affettività. Il supporto è dedicato anche ai genitori, che a volte non riescono a trovare il modo di decifrare i silenzi dei loro figli via via sempre più chiusi e solitari.

Lavorare sul corpo produce benefici per la mente?

“Ehi! come stai?”

“Bene, grazie. Ma chi sei?”                                                          lavorare sul corpo per gestire lo stress

”Non ti ricordi di me?”

“Ora che ti guardo bene mi ricordi qualcosa ma onestamente non saprei,  dove ci siamo conosciuti?”

“Questo mi fa sorridere ….”

“Puoi dirmi chi sei così …mettiamo fine a questo….??”

“Sono il tuo corpo. SONO IL TUO CORPO. Pensa, siamo insieme da tanto tempo eppure non ricordi bene chi sono. Viviamo insieme, trascorriamo intere e intense giornate, lunghe notti, grandi esperienze, terribili momenti, traumi, gioie, ansie e tensioni. Io sono la tua memoria. Sento, percepisco, immagazzino, reagisco, mi adatto. Faccio tante cose per te e ti aiuto a vivere ogni giorno rispondendo alle tue emozioni. Che peccato che tu non sappia bene chi sono io, che non mi ascolti abbastanza, che i messaggi che ti invio vengano da te ignorati. Se solo mi lasciassi parlare, se solo ti fermassi un momento ad ascoltare, se solo tu mi conoscessi di più, ti renderesti conto quale risorsa sono per te, di quanto, se ben trattato, posso aiutarti”.

Se il corpo parlasse (e la mente ascoltasse)

Ecco, chissà se qualcuno si è ritrovato in questo dialogo immaginario, se qualcuno di voi ha sorriso o se si è detto “io conosco benissimo il mio corpo e i suoi segnali”. In questo inventato scambio di battute il corpo richiama l’attenzione della mente e la invita a prestargli interesse, valorizzando quanto può offrirgli.

Le nostre giornate sono lunghe, la tensione fisica è alta così come lo è la tensione mentale, il livello di ansia cresce, e la respirazione diaframmatica diviene sconosciuta ai più. Immaginiamo quanto segue: rientriamo a casa dopo una giornata intensa, densa di impegni e appuntamenti, dove emozioni diverse e contrastanti si sono susseguite senza tregua, senza avere il tempo di metabolizzare. Il respiro corto, i muscoli in tensione, sempre pronti a scattare. Ci sdraiamo sul divano, guardiamo il soffitto e, facendo un respiro profondo, ci concediamo qualche minuto di riposo. Ma i nostri muscoli sono veramente distesi? Hanno ancora un po’ di tensione residua? E i pensieri? Come li stiamo elaborando? Come stiamo effettivamente gestendo questo momento di “rilassamento”?

Il nostro stile di vita, che fa assomigliare la nostra quotidianità più a una gara che lascia col fiato sospeso che a un vero e proprio percorso di vita, conferisce ancora più importanza all’imparare a rilassarsi.

Lavorare sul corpo consapevolmente

Consideriamo come punto di partenza il fatto che il corpo sia entrato a far parte della pratica della psicoterapia: ciò indica che il nostro corpo è una fonte inesauribile di microscopici segnali che, se ben ascoltati ed accolti, possono per noi divenire un potenziale considerevole per la conoscenza di noi stessi, dei nostri limiti e dei nostri punti di forza. “Soma e psiche seguono il principio dei vasi comunicanti, dunque le conseguenze di una mal interpretazione delle emozioni e delle sensazioni si riversa sul nostro fisico. Quando la nostra intimità è, per così dire, bloccata, i nostri muscoli diventano tesi, contratti e la respirazione è superficiale e ridotta al minimo indispensabile. Naturalmente questa situazione di blocco è tendenzialmente inconsapevole”.

Attraverso proprio il lavoro di decontrazione dei muscoli e della respirazione, i segnali, le emozioni e le sensazioni passano a un livello di consapevolezza, divenendo così più ricettivi nei confronti di noi stessi. A questo proposito, sarebbe importante che ognuno di noi avesse a sua disposizione delle strategie di rilassamento efficaci. Le tecniche di rilassamento possono aiutare a lavorare sul corpo per favorire uno stato di benessere attenuando sintomi sia di origine somatica che fisica. In generale possono aiutare la persona a gestire meglio quelle situazioni di vita quotidiana che sono altamente stressanti.

Il Rilassamento Muscolare Progressivo

Come modello di riferimento prendiamo il Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson. Tale tecnica è stata elaborata dalla statunitense attorno agli anni 30 e, a differenza di altre tecniche, ha escluso quasi totalmente la parte psicologica del rilassamento, concentrandosi solo ed esclusivamente sull’aspetto neuromuscolare. Da un punto di vista clinico, Jacobson ha elaborato un training che permette di imparare a rilassarsi senza controindicazioni ed è di larga applicazione. Lo stress induce tensione muscolare e mentale e anche da questo derivano malattie psichiche e fisiche. Ridurre la tensione muscolare potrebbe divenire un antidoto per la prevenzione.

Jacobson si interessa alla tensione muscolare sotto il punto di vista neurofisiologico e le sue prime ricerche hanno come protagonista il sussulto: il sussulto in una persona è facilitato da uno stato di tensione, questo infatti non avviene quando il soggetto è disteso. Egli dimostrò come i processi mentali, le emozioni, etc., sono associate a movimenti neuromuscolari che alterano il normale tono di riposo.

Focus sul corpo

Prima sono stati chiamati in causa i pensieri. Nel training viene data molta importanza a questi che non vengono contrastati ma solo assecondati, ma la concentrazione è sull’ascolto del corpo, una concentrazione sensoriale e non su pensieri o altri elementi ambientali.

Il programma di rilassamento segue il principio di gradualità, ovvero ogni step del training e del processo di generalizzazione avviene gradualmente e per fasce muscolari, tenendo ovviamente in considerazione le abilità acquisite (senso muscolare) e delle caratteristiche soggettive.

La generalizzazione è la metodologia secondo la quale si applica la tecnica del rilassamento alla vita quotidiana al fine di gestire gli eventi stressanti, stress soggettivi e/o ambientali, che creano uno stato di ansia. Tendenzialmente le persone che hanno appreso tale tecnica di rilassamento dicono di riuscire ad applicarlo anche in contesti di vita quotidiana: in ufficio; mentre aspettano l’autobus; seduti sulla sedia. Viene proposto anche ai bambini che possono applicarlo anche in classe stringendo una pallina di gomma. Per chi insegna tale tecnica diviene obiettivo prioritario quello di saper portare il paziente in una condizione di ascolto del proprio corpo. Per concludere, lavorare sul corpo può essere una risorsa straordinaria nella gestione dello stress.

Costellazioni Familiari

Le Costellazioni Familiari sono un metodo di presa di coscienza e risoluzione di una vasta gamma di problematiche che derivano dalla famiglia di origine. Queste possono manifestarsi nella vita di ogni giorno sul piano del benessere individuale, delle relazioni interpersonali, del processo di auto-realizzazione.

Attraverso le Costellazioni Familiari possiamo infatti prendere coscienza di ingiustizie, esclusioni e privazioni vissute dai nostri antenati. Queste memorie dolorose potrebbero essere arrivate fino a noi e inficiare in qualche misura la nostra vita. Lasciando agire la rappresentazione scenica, possiamo comprendere a fondo l’origine di ciò che stiamo vivendo, reintegrare le informazioni mancanti per rimettere ordine nel sistema.

Risolvere nodi antichi

Il metodo delle Costellazioni Familiari aiuta a ricostruire la propria linea genealogica. Inoltre consente di prendere coscienza di traumi (malattie, guerra, morti, fallimenti), ingiustizie e privazioni vissuti nel sistema familiare, sociale e culturale. Tutte queste informazioni vengono infatti trasmesse dagli antenati ai discendenti.

Non è cosa semplice: molto spesso quello che viene rappresentato nelle costellazioni è uno scenario sconosciuto e inedito. E non potrebbe essere altrimenti, in quanto la costellazione ci mostra non solo quello che già sappiamo (per cui riconosciamo con stupore certi atteggiamenti e comportamenti riportati precisamente dai rappresentanti); il vero contributo di una costellazione consiste nello svelarci quello che non sappiamo riguardo la nostra famiglia.

La cosa importante è aprirsi alle informazioni che arrivano, accogliere con fiducia anche le rivelazioni più sconcertanti. Talvolta capita che la costellazione riveli addirittura informazioni sconosciute al cliente, ma puntualmente confermate da successive indagini. In ogni caso, qualunque cosa emerga dalla costellazione, il nostro livello di coscienza è in grado di elaborarlo e di assimilarlo, aumentando la nostra consapevolezza e permettendo così al nostro campo morfogenetico di riassestarsi più in profondità.

Come funzionano le Costellazioni Familiari

Gli elementi fondamentali per effettuare una Costellazione Familiare sono tre: un facilitatore, un cliente e dei rappresentanti.

  • Il FACILITATORE imposta il set fenomenologico in cui si sviluppa la costellazione, indaga assieme al cliente la tematica che si vuole esplorare e, sulla scorta della sua esperienza e competenza, porta la costellazione a una soluzione efficace.

  • Il CLIENTE è l’elemento fondamentale di una costellazione. E’ colui che porta la domanda su cui lavorare, che deve essere chiara e rilevante, ovvero non generica ed evasiva, bensì focalizzata su una tematica che richieda una soluzione. Ma soprattutto il cliente è importante perché è il suo campo morfogenetico che viene rappresentato fenomenologicamente, a cui si collegano il facilitatore e i rappresentanti.

  • I RAPPRESENTANTI sono generalmente persone (ma possono essere anche oggetti) su cui vengono proiettati dal campo morfogenetico taluni aspetti dei membri del sistema familiare. In genere (ma dipende dalla tecnica utilizzata dal facilitatore) possono esprimersi liberamente e spontaneamente, dando uno sviluppo dinamico alla costellazione.

Concretamente, dopo una breve indagine sulla tematica portata dal cliente e sulla situazione genealogica e sistemica, il cliente formula la domanda cui tenterà di dare risposta grazie alla costellazione. Il cliente dispone nello spazio previsto (o invita a disporsi liberamente) i rappresentanti della sua famiglia, o del suo partner, o delle sue relazioni affettive, lavorative, personali. Poi si siede e osserva.

I rappresentanti entrano in connessione con il campo morfico del soggetto e agiscono guidati da dinamiche spontanee, portando alla luce il vissuto emotivo delle persone reali o delle situazioni che rappresentano. In genere, nel giro di qualche minuto la costellazione arriva a uno stallo, a un blocco o un congelamento: è il cosiddetto irretimento, in cui vediamo la situazione “reale” del sistema familiare del soggetto, assistiamo all’emersione del nodo o del nucleo problematico del sistema.

Solamente la visione e la presa di coscienza di questo dato potrebbe bastare al cliente per destrutturare una serie di blocchi interiori e giungere a nuove consapevolezze riguardo se stesso e il proprio sistema; ma in genere si cerca di effettuare un aggiustamento della situazione, di esercitare un ruolo attivo nella ridefinizione del sistema.

Attraverso quindi un misurato e graduale cambiamento delle posizioni dei rappresentanti nello spazio, spontaneamente o attraverso l’intervento del facilitatore, si riporta il sistema nel giusto ordine: una rinnovata armonia dentro la quale il soggetto interessato riprende il suo posto e ristabilisce le corrette relazioni con i membri del suo sistema.

Riflessioni sulla coppia: terapia di coppia e sostegno psicologico

Riflessioni sulla coppia: conflitto e violenza

coppiaCon l’ultimo “femminicidio” di pochi giorni fa il numero di donne uccise dall’inizio dell’anno è arrivato a 49! E purtroppo questa è solo la punta dell’iceberg. Il numero di coppie  che vive in situazione di conflitto è difficile da calcolare ma sicuramente molto grande. Fortunatamente non tutte finiscono in omicidio o violenza, ma la sensazione è che il fenomeno sia molto diffuso. Questo è confermato anche nella realtà in cui viviamo, la richiesta di Terapia di coppia a Monterotondo copre circa la metà di tutte le richieste di intervento psicologico. Cosa sta succedendo? E’ cambiato qualcosa o è sempre stato così ed ora ce ne accorgiamo di più grazie ai mass media?

La coppia, intesa come relazione più o meno duratura tra due individui di sesso diverso, esiste in natura, almeno nel mondo animale, ed il suo significato biologico è la riproduzione e quindi la continuità della specie. Tra i mammiferi ci sono molti esempi di animali che formano coppie che durano molto più del tempo necessario alla procreazione e all’accudimento dei piccoli, per esempio i lupi formano coppie che durano anche per tutta la vita.

Quando ci occupiamo dell’essere umano, come sempre, le cose si complicano moltissimo.  La sola biologia non basta ad analizzare e cercare di capire le complesse dinamiche di coppia che si creano tra due esseri umani, basti pensare a sempre crescente numero di coppie omosessuali, il cui scopo principale non è certo la procreazione. Quindi oltre la biologia abbiamo bisogno della psicologia, della sociologia, dell’antropologia per cogliere l’intreccio di fattori culturali, sociali, ambientali, storici che regolano i rapporti di coppia nelle società così dette evolute e civili.

E’ indubbio, tutti lo cogliamo, che ci sia una forte spinta a formare delle coppie, tanto che nella maggior parte delle culture, la coppia è l’elemento base su cui si basa la società, o forse sarebbe meglio parlare di famiglia, che altro non è che la coppia dopo che ha espletato il suo compito biologico, la riproduzione. Ma, come detto prima, “l’uomo” è andato oltre, infatti possiamo vedere molte coppie che scelgono consapevolmente di non avere figli. Dobbiamo quindi ipotizzare una “spinta” verso la formazione di una coppia che risponde ad altre esigenze, di natura più psicologica*.

La ricerca del partner.

Perché, allora, tendiamo a cercare un partner? Probabilmente la risposta più semplice ed immediata è “perché non ci piace stare soli”, e questa risposta trova riscontro in moltissimi studi ed in molte teorie della moderna psicologia. Il bisogno di contatto (anche e soprattutto fisico), il bisogno di riconoscimento, il bisogno di condividere le esperienze che facciamo sono ormai universalmente riconosciuti come caratteristiche distintive degli esseri umani. A questo ovviamente vanno aggiunti fattori culturali (“comunque ad una certa età ci si sposa”), economici (trovare un buon partito), politici (durante il fascismo il matrimonio era quasi un obbligo sociale) che fanno sì che l’istituzione coppia abbia avuto un grande successo nella storia dell’uomo. Ma dato che noi siamo psicologi, vediamo di analizzare la cosa da un punto di vista psicologico. Quindi le domande che ci porremo sono: Con quale criterio scegliamo il nostro o la nostra partner? Come mai a volte sembra che scegliamo la persona più sbagliata possibile? Come mai portiamo avanti ottusamente relazioni che evidentemente non funzionano?  Perché a volte diventiamo aggressivi e violenti invece di andarcene semplicemente? Naturalmente qui faremo solo delle ipotesi, se sapessimo rispondere con assoluta certezza a queste domande avremmo risolto uno dei più grandi problemi dell’umanità.

Possiamo cominciare prendendo in esame una cosa semplice e lampante: nasciamo tutti “da” una relazione di coppia (ci vogliono due individui di sesso diverso, anche se oggi esistono tecniche tali che permettono di avere un figlio anche da soli) ed “in” una relazione di coppia,   quella composta da noi stessi e da nostra madre. Questa relazione è fondamentale per la nostra sopravvivenza (senza la mamma un piccolo umano non è in grado di cavarsela) ma anche per il nostro sviluppo fisico e psicologico. Probabilmente proprio questa relazione madre-figlio sarà alla base di tutte le altre relazioni della nostra vita, ed in particolare alla “relazione di coppia”.

Emotività: un codice che si crea fin dalla nascita

Ci serve una piccola digressione sul nuovo nato: chi è? Cosa vuole? Come funziona? Le teorie psicologiche sono molte, ma alcuni punti sono sicuramente condivisi ed in sintonia con il comune buon senso. I neonati sono “individui”, vale a dire delle unità psico-fisiche perfettamente funzionanti, dotate di tutte le risorse e le strategie necessarie per sopravvivere, a patto che ottengano la “collaborazione” dell’ambiente in cui vivono (fondamentalmente la madre).

Quello che vogliono è sostanzialmente avere risposte ai propri bisogni, in fretta e adeguate.

Funzionano per lo più secondo il principio del piacere-dispiacere, se tutto va bene se ne stanno tranquilli, altrimenti mettono in atto le loro strategie per ottenere il piacere e ristabilire l’equilibrio. Così il bambino ha fame – strilla fino a che non viene nutrito – poi torna tranquillo. Sembra tutto semplice e lineare, potrebbe funzionare bene, ma……..  possono  succedere molti “incidenti”. Ad esempio la madre potrebbe non riuscire ad interpretare il bisogno del bambino (lui ha mal di pancia e la madre gli dà cibo), oppure per qualche motivo non ha voglia di occuparsene, o magari il bambino è istituzionalizzato. Quindi il nostro bambino cresce apprendendo quali “strategie” funzionano nel suo ambiente e quali no, inoltre crescendo acquisisce nuove abilità (motorie, linguistiche, logiche, sociali) che userà per crearne di nuove, più sofisticate, mentre il suo ambiente si allarga sempre più (dalla famiglia alla scuola ai gruppi di pari, al mondo del lavoro, alla società in genere). Fondamentalmente scopre che per ottenere soddisfazione ai propri bisogni non basta a sé stesso, ha bisogno “dell’altro” (per ottenere cibo non basterà più strillare, bisognerà imparare a chiedere e ad attendere, e ad un certo punto anche procurarselo da solo). Anche i bisogni cambiano, e si fanno più complessi. Dai primordiali bisogni di nutrimento, accudimento (coccole), calore al bisogno di riconoscimento, di conoscenza, di autonomia, di struttura, che mi sento di definire “sani” ai bisogni reali o indotti che la nostra società ha creato (bisogno di i-phone?), meno sani, ai bisogni “nevrotici”, “non sani”.

Credo che possiamo suddividere le strategie in due grandi categorie: quelle basate sulla collaborazione e quelle basate sulla manipolazione. Naturalmente non dobbiamo considerarle come categorie assolute, spesso i due aspetti si fondono. Le strategie collaborative si basano sul riconoscimento dell’altro come individuo uguale a noi e portatore di bisogni proprio come noi. Quindi andranno nella direzione: “vediamo come è possibile trovare insieme soddisfazione ai nostri bisogni” e presuppongono la capacità di rinunciare a qualcosa. Le strategie manipolative si basano sul riconoscimento dell’altro unicamente come soggetto che può rispondere ai nostri bisogni e vanno nella direzione:” come posso costringerlo?”, l’ipotesi di rinunciare è molto remota.

Coppia e sessualità.

Torniamo alla nostra coppia. Abbiamo visto quanti elementi concorrano alla costruzione di una relazione adulta, psicologici, ambientali, sociali ecc., ma noi ci stiamo occupando di una particolare relazione, quella tra due adulti, che in qualche modo decidono di condividere parti importanti della loro vita. E qui entra in ballo un altro elemento, dirompente, la sessualità. Questo è l’ambito più “immediato” (nel senso che ha poche mediazioni di tipo sociale-linguistico, ci riporta al primitivo ambito senso-motorio) della relazione e quello in cui si manifestano più direttamente (e a volte drammaticamente) i conflitti.

Ora forse abbiamo le idee un pochino più chiare sui criteri con i quali scegliamo il partner: deve essere in grado di soddisfare i nostri bisogni, dai più arcaici (poco consapevoli) a quelli reali e, ahimè, soprattutto a quelli nevrotici. Lo stile con il quale cercheremo di ottenere la nostra soddisfazione sarà quello che abbiamo appreso nella nostra infanzia e poi perfezionato nell’arco della nostra vita. Inoltre probabilmente cercheremo quelle persone che somiglino il più possibile alle nostre figure di riferimento in modo da trovarci su un terreno “conosciuto”, anche se la maggior parte delle volte ha funzionato male. E questo che ad un osservatore esterno appare come “scelta sbagliata” (“non capisco proprio perché quei due stiano assieme”). E’ sbagliata se pensiamo ad un rapporto ideale, è giusta se risponde ai criteri di cui sopra: ricreare una situazione nota, nella quale in qualche modo me la sono cavata, senza riuscire a immaginare niente di diverso. E questo risponde alla domanda “perché certe relazioni vanno avanti anche quando sembrano terribili?”.  E comunque la paura di “perdere tutto” è spesso ciò che sostiene la relazione.

Forse il quadro che emerge è un po’ fosco, ma devo dire che la mia lunga esperienza clinica nella terapia di coppia, ma ancor più la mia esperienza di vita (quella che abbiamo tutti), mi hanno restituito l’idea di una “istituzione” veramente in crisi, in cui i conflitti la fanno da padroni, certo con tutte le sfumature possibili come detto all’inizio.

Sostegno psicologico: La terapia di coppia.

Infine qualche parola sulla terapia di coppia o meglio “della coppia”. In ogni relazione di coppia ci sono tre elementi: i due partner e la relazione. E’ evidente che si può pensare di intervenire su ognuno dei tre elementi o anche su tutti. Personalmente ritengo che il primo passo sia capire se la coppia ha ancora (se mai lo ha avuto) uno “spazio” in cui costruire o ricostruire una relazione sufficientemente sana. Se questo non c’è credo sia dovere del terapeuta aiutare la coppia a fare una buona separazione (compito di solito non facile). In secondo luogo valutare le rispettive motivazioni, risorse e capacità al fine di impostare un lavoro di presa di consapevolezza dei meccanismi che regolano il funzionamento della coppia (secondo lo schema sinteticamente mostrato in questo articolo), ed infine esplorare le possibilità di cambiamento. Non escludo una prima fase in cui uno dei partner (o anche tutti e due) faccia un breve percorso individuale al fine di rendere più equilibrato il successivo lavoro. In un buon funzionamento della coppia c’è veramente molto da guadagnare per tutti, per i partner, per i loro figli e per tutto l’ambiente circostante. Ovviamente non necessariamente c’è bisogno dell’intervento dello psicologo, a volte basta dedicare un po’ di tempo a parlarsi, esprimere con chiarezza e senza paura i nostri bisogni, rendersi conto che la coppia necessita impegno e non dare mai nulla per scontato.

 

Telefono +39 366-1730510
Email info@psicologiamonterotondo.com
Sede via Mameli 37 int. 16 00015
Monterotondo (RM)

Workshop Costellazioni Familiari 21-22 aprile

Centro Psicologia Monterotondo – Costellazioni Familiari Workshop 21 – 22 aprile 2018

Il seminario sulle Costellazioni Familiari è a numero chiuso fino ad un massimo di 20 iscritti

Ogni famiglia, come ogni sistema (squadra, gruppo, corpo, ambiente di lavoro, ambiente scolastico, stirpe, razza, nazione, ecc.), possiede delle proprie regole e valori spesso non esplicitati e acquisiti dai componenti del sistema in modo inconsapevole. Il metodo delle Costellazioni Familiari, che rende visibili nello spazio i processi profondi utilizzando persone estranee tra loro, viene utilizzato per la prima volta da Moreno, il medico fondatore dello psicodramma. Bert Hellinger ne ha fatto un metodo di lavoro sulla famiglia.

Con le Costellazioni Familiari vengono portate alla luce le dinamiche nascoste che ci mantengono legati alla nostra famiglia e ci fanno appartenere a quel gruppo: queste lealtà a valori, idee, leggi, del sistema che spesso sono “invisibili”, ci spingono ad attuare dei comportamenti che condizionano sia la nostra vita che i nostri sentimenti. Attraverso la connessione con il Campo Cosciente – la rete di informazioni presente intorno a noi – si può entrare in contatto con informazioni importanti su ciò che disturba o favorisce l’equilibrio nelle relazioni tra i componenti del sistema, migliorando in genere la relazione con se stessi e con il mondo, in un processo graduale e creativo di consapevolezza, accettazione e riparazione.

Indagare su noi stessi

Tramite le Costellazioni Familiari possiamo indagare e cercare soluzioni su:
-Famiglia d’origine e attuale
-Coppia e relazioni
-Separazioni o perdite dolorose
-Situazioni di vita difficili
-Stress, ansia, senso di colpa, aggressività, insicurezza
-Senso di non appartenenza
-Carenza della gioia di vivere
-Situazioni spiacevoli che si ripetono ciclicamente

Ciò che è più grande negli esseri umani è ciò che li rende uguali a tutti gli altri. Qualsiasi altra cosa che dèvi più in alto o più in basso da ciò che è comune a tutti gli esseri umani ci sminuisce. Solo essendo consapevoli di questo possiamo sviluppare un profondo rispetto per ogni essere umano.”

Bert Hellinger

Come si svolge:

Dal gruppo dei partecipanti si scelgono i rappresentanti per i vari membri familiari e si dispongono nello spazio in relazione l’uno con l’altro. Da questo momento i rappresentanti spesso si sentono e si comportano proprio come le persone che rappresentano, benché ne’ il terapeuta ne’ loro stessi abbiano ricevuto alcuna informazione preventiva sui fatti iniziali.
In questo modo, secondo il posto che questi occupano come sostituti di membri familiari, possono essere individuati i legami nascosti e le “lealtà invisibili”.

Il metodo delle Costellazioni Familiari consiste non tanto nel cercare di rimuovere il problema, quanto piuttosto nel facilitare il Protagonista a rivolgersi verso la Soluzione, la quale non può essere anticipata o prevista razionalmente, ne’ indicata, ma deve essere vista o percepita emergere da sé nella dinamica della rappresentazione sistemica stessa. La constatazione della realtà oggettiva, o comunque della realtà relativa al momento presente del sistema stesso, stimola l’accettazione consapevole di nuovi punti di vista. Ed è proprio questa rinnovata consapevolezza ciò che porta alla soluzione, essendo in parte essa stessa “La Soluzione”. Portando l’attenzione alla soluzione, piuttosto che al problema, permettiamo al nostro cuore di aprirsi ad una comprensione più profonda di ciò che siamo veramente. Imparando a vedere “ciò che è”: senza giudicare ne essere giudicati.

Il workshop sarà condotto dallo Psicologo Leonardo Magalotti. Specializzato in Psicoterapia della Gestalt, Psiconcologo, si occupa di nascita delle modalità relazionali e costruzione dei legami nell’infanzia, Video Micro Analisi, Umorismo nella Psicoterapia. Docente al Corso di Formazione in Psicologia Oncologica all’Istituto Regina Elena di Roma. http://www.magalotti.info/#home

Come Partecipare

COSTO 130 EURO DI CUI 50 EURO ALLA PRENOTAZIONE  – Termine ultimo per l’iscrizione 15 Aprile 2018
Per confermare la prenotazione è necessario versare 50 euro come acconto e caparra PRESSO IL CENTRO PSICOLOGIA MONTEROTONDO
oppure attraverso un BONIFICO sul seguente IBAN IT2300760105138200909200910
(poste PayEvolution intestata ad Andrea Di Gennaro- referente del workshop presso il Centro)

Causale ”COSTELLAZIONI APRILE MONTEROTONDO”

Per motivi organizzativa vi preghiamo di inviare ricevuta del pagamento tramite mail digennaro.andrea[at]gmail.com
oppure nome e cognome del/dei partecipanti tramite sms al numero: 328.7962471
Restiamo a disposizione per ogni chiarimento

Dott. Andrea Di Gennaro 328.7962471

Cervelli in movimento: una tempesta costruttiva

Risorse umane, una tempesta costruttiva

All’interno di un gruppo di lavoro, quale che sia la sua dimensione, dall’azienda al piccolo gruppo con un obiettivo specifico, possiamo assistere a fenomeni di tensione, nervosismo e apprensione. Questi stati d’animo negativi portano, nel migliore dei casi, a un abbassamento della soglia della motivazione che conduce il lavoratore a rendere di meno o con standard qualitativi inferiori rispetto al solito. Da parte nostra, cosa possiamo fare? Quali sono le parole più giuste? Quali azioni sono le più idonee per fronteggiare situazioni “sfavorevoli”? Oltre a concentrare l’attenzione sul budget, sul target, sui bilanci o sui resoconti, perché non sfruttare la risorsa più importante che abbiamo?

La forza creativa del gruppo

Parliamo della risorsa umana, i nostri collaboratori. Coinvolgerli, farli sentire parte integrante, risorsa di inestimabile valore. Quando eravamo bambini i giochi in gruppo erano quelli più divertenti, quelli fatti con i nostri compagni di scuola erano i più fantasiosi,  i giochi inventati con fratelli o cugini erano quelli più geniali. Non a caso i lavori di gruppo presentati a scuola erano i più colorati e pregni di informazioni! Ecco, tornando indietro nel tempo, tutto questo può essere riadattato alla realtà del lavoro in gruppo e può esserci molto utile. Riprendendo, solo per uno spunto, la scuola della Gestalt (la psicologia della Gestalt, detta anche psicologia della forma, è una corrente psicologica riguardante la percezione e l’esperienza che nacque e si sviluppò agli inizi del XX secolo in Germania) la quale sostiene che “L’insieme è più della somma delle sue parti” e tenendo vivido il ricordo dei giochi in comitiva, ecco che l’immagine che ci viene in mente è nitida e concreta: il gruppo.

Quando siamo di fronte ad un problema le cui soluzioni non bastano, non sono innovative, originali; quando abbiamo bisogno di nuovi spunti, nuove prospettive o nuovi progetti ma nulla ci viene in soccorso, cosa possiamo fare? Mettiamo insieme un gruppo di collaboratori, diamogli uno spunto, e giochiamo insieme …. il risultato sarà sorprendente! Mi riferisco alla tecnica del brainstorming, letteralmente una tempesta di idee, una tecnica dove vince la creatività di gruppo e che stimola l’emergere di nuove idee che portano alla soluzione di un problema.

Il metodo del brainstorming

Il metodo del brainstorming iniziò a diffondersi nel 1957, mediante il libro di A. F. Osborn “Applied Imagination” . La tecnica del brainstorming ha molte applicazioni pratiche, nella pubblicità, nell’arte, nello sviluppo di nuovi prodotti, ma anche nella creazione e gestione di progetti e processi. E’ una tecnica largamente utilizzata in numerose realtà aziendali. Consiste in una discussione di gruppo guidata da un animatore che ha il compito di far venire a galla il più alto numero di idee sull’argomento proposto. Idee di ogni tipo, le più assurde, bizzarre, eccentriche e stravaganti. Durante tutta la seduta ogni idea è accolta e ascoltata e solo al termine di tale sessione vengono fatte critiche e scremate le idee emerse. Alcune ricerche hanno dimostrato che evitare il giudizio immediato è altamente produttivo sia per il singolo che per l’interazione di gruppo. Nelle sedute di brainstorming possiamo rintracciare tre momenti fondamentali tra le quali la definizione del problema, e quindi capire dove c’è bisogno di un intervento  di tipo creativo, la produzione delle idee nuove, e la decisione e scrematura delle idee. E’ fondamentale tenere presente che l’animatore ricopre un ruolo chiave poiché deve  avere padronanza del problema proposto, soprattutto in merito ai limiti e ai punti dove si può osare maggiormente. Il gruppo dei partecipanti può essere eterogeneo per specializzazione, ruolo, mansione o cultura. Nella sessione è d’obbligo l’espressione libera di tutte le idee e  la censura di ogni tipo di ironia o critica. L’ideatore stesso sostiene che tale tecnica può essere dieci volte più produttiva rispetto a riunioni definite convenzionali.

Nonostante il brainstorming sia stato sottoposto a critiche, è comunque la tecnica più utilizzata che, grazie ai suoi limiti e ai suoi punti di forza, ha aperto la strada a numerose tecniche basate sulla creatività.  Ritornando a noi, perché non “sfruttare” le risorse umane che abbiamo in campo? Magari in un giorno in cui le idee vengono meno, dove il problema sembra insormontabile e l’inventiva non ci aiuta. Magari in un periodo come questo, dove numeri, segni meno e conti in rosso schiacciano ogni nostra fantasia. Forse proprio il silenzioso collaboratore del reparto qualità, il ragazzo della logistica o l’apprendista del recupero crediti possono avere in serbo una potenziale idea che, adeguatamente strutturata e organizzata, può essere per il nostro gruppo di lavoro un punto a favore.

Il linguaggio del corpo: quando vale più di mille parole

comunicazione non verbale Centro Psicologia Monterotondo

Quante parole diciamo durante tutto il corso della giornata? Quanto impegno mettiamo per far sì che il nostro interlocutore comprenda appieno ciò che vogliamo dire? Per questo elaboriamo frasi, pronunciamo parole ricercate, tecniche e quanto mai precise affinché il nostro pensiero sia espresso nel migliore dei modi possibili. Ma siamo sicuri che tutto ciò sia sufficiente? Siamo certi che il messaggio sia percepito esattamente per come vogliamo che lo sia? E’ bene tenere a mente che non è quello che diciamo, ma come lo diciamo che fa la differenza. E, sicuramente, la comunicazione verbale da sola non basta, deve essere necessariamente accompagnata da una comunicazione non verbale chiarificatrice e complementare.

La comunicazione non verbale è prevalente

Questi due tipi di comunicazione devono essere congrue tra loro per sortire effetti significativi. Facendo solo qualche accenno alla teoria, vediamo che la comunicazione non verbale è essenziale per capire chi abbiamo di fronte, per far comprendere noi stessi e per comunicare anche senza parlare! Ha un’importanza decisiva e strategica in tutte le relazioni interpersonali. Sembra paradossale, ma ogni minimo comportamento non verbale comunica qualcosa di noi, e, gestendolo nel miglior modo, può divenire un aiuto importante nelle relazioni sociali. E’ uno strumento che ognuno di noi ha a disposizione e ciò è avvalorato dal fatto che la CNV (comunicazione non verbale) costituisca il 93% di tutta la comunicazione e che il 91% della CNV sia inconsapevole. Perciò, una gran parte di quello che effettivamente comunichiamo è rappresentato da ciò che veicoliamo attraverso il linguaggio del corpo.

Impossibile non comunicare

Questo tipo di comunicazione è universalmente comprensibile, al punto da poter trascendere le barriere linguistiche (altre lingue), ma è bene sapere che ogni cultura tende a rielaborare in maniera differente i messaggi non verbali. Ciò vuol dire che forme di comunicazione non verbale perfettamente comprensibili per le persone appartenenti ad una determinata cultura possono invece essere, per chi ha un altro retaggio culturale, assolutamente incomprensibili o addirittura avere un significato opposto a quello che si intendeva trasmettere. C’è molto da dire su quest’argomento, sono stati scritti numerosi libri, tanti articoli e non pochi trattati e tutto è incline a sostenere che è impossibile non comunicare. Anche quando dormiamo, camminiamo, la postura che assumiamo, come posizioniamo i nostri piedi durante una conversazione, come stringiamo la mano in fase di presentazione o di saluto. Tutto è comunicazione.

Gesti, silenzi, sorrisi: potenziali strumenti di una comunicazione consapevole

Sia durante una riunione che in una normale conversazione, siamo tendenzialmente attenti ai gesti che interessano gli arti superiori, ma se vogliamo sapere qualcosa di più della persona che abbiamo di fronte, allora spostiamo lo sguardo sui suoi piedi o sulla posizione delle gambe.

Attenzione al tono della voce, alle pause ad anche ai silenzi! Potrebbe sembrare assurdo ma i silenzi sono un’arma a doppio taglio: possono servire per sottolineare l’importanza di un concetto appena espresso, oppure, se ben “utilizzati”, possono mettere a disagio il nostro interlocutore e farlo sentire in una posizione di inferiorità rispetto a noi. Quante volte, poi, siamo rimasti abbagliati da un sorriso fantastico oppure infastiditi da un’amica che con un sorriso ambiguo ci ha detto “ma che bei capelli”, le donne molto probabilmente ne sanno più degli uomini!

Il sorriso, questa meraviglia, questa manifestazione favolosa che riempie le nostre giornate, il nostro cuore e che, al solo ripensarci, ci strappa un altro sorriso come fosse una catena! Ma attenzione, è il sorriso di Duchenne quello schietto e sincero, dove tutti i muscoli facciali sono coinvolti, che arriccia gli occhi e gli angoli della bocca! Diffidate dal sorriso Pan American, quello falso, di cortesia, di circostanza, quello che ci lascia uno strano brivido sulla pelle.

Effettivamente non è semplice fare attenzione agli aspetti della comunicazione non verbale, è impegnativo e richiede interesse e osservazione. Naturalmente non possiamo trattare tutta la CNV in un breve spazio, ma qualche spunto di riflessione può, comunque, aiutarci a capire, capirci e, perché no, trarre qualche vantaggio in più per la nostra carriera e per la nostra “popolarità”.

Il “Centro Psicologia Monterotondo” e la nuova programmazione

Il “Centro Psicologia Monterotondo” presenta nuovi eventi in programmazione:
  • Costellazioni Familiari
  • Centro Psicologia MonterotondoGruppi di supporto psicologico con familiari di Pazienti Psichiatrici
  • Gruppi di supporto psicologico con donne affette da Endometriosi

Per maggiori informazioni potete venirci a trovare alla nostra sede in via Mameli 37 int. 16 a Monterotondo (RM) e/o contattarci ai nostri recapiti:

Benvenuti nella sezione eventi e seminari del Centro di Psicologia di Monterotondo

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